Agosto 1571. La trionfale accoglienza di Messina a Don Giovanni d’Austria
Agosto 1571. La trionfale accoglienza di Messina a Don Giovanni d’Austria, comandante in capo della Flotta Cristiana.
Tratto da G. Arenaprimo – La Sicilia nella Battaglia di Lepanto, ristampa a cura di V. Caruso, EDAS 2011
Giovedì ventitré agosto 1571, un mese dopo l’arrivo di Marcantonio Colonna e di Sebastiano Venier, Don Giovanni d’Austria giunse finalmente a toccare lo Stretto.
Arrivò così all’improvviso che i generali pontifìci e i Veneziani, dopo il meriggio, se lo videro inaspettatamente nello Stretto, ed ebber appena il tempo di levare le ancore per andargli incontro con le navi: poco dopo tutti insieme ritornarono in porto, salutati da tutti i baluardi e dalle regie fortezze della città[1].
Erano le ore ventidue del 25 agosto, allorquando «reiterandosi la salva dell’artiglieria, così dalle fortezze della città come dai navili del porto, et precisamente dalle Galeazze, seguita dall’archibugeria dei soldati» don Giovanni d’Austria, con i dignitari della sua corte, seguito dai generali e capitani romani, veneti e spagnuoli, veniva ricevuto sopra un ricchissimo palco messo a mare, presso il forte di S. Giacomo, dirimpetto la porta della città che da allora in poi si disse di Portareale, dai Senatori della Città, don Girolamo Romano, don Domenico Saccano, don Annibale Alifia, don Onofrio Giurba, don Girolamo Marullo, don Antonio Maurolico, e da numerose quadriglie di cavalieri della nobiltà,messinese, nei loro abiti più sfarzosi e mirabili per la stranezza, delle foggie, per la varietà degli ornamenti, per le pinnacchierie variopinte imposte ai berretti, per la bizzarria delle bardature e delle gualdrappe, ond’erano coperti i loro cavalli.
Il corteo, di oltre trecento cavalieri, fra i quali molti signori titolati dell’uno e dell’altro regno, preceduto da trombettieri, da suonatori di pifferi, da alabardieri, mosse dalla Portareale “a meraviglia adorna per le molte pitture” e da epitaffio.
Sfilando per via delle Conciarie, per il piano di San Giovanni Battista, e per le strade maestre della Manna, di Santa Maria della Porta, dei Torciari, dell’Uccellatore, dei Gentiluomini e della Correria, giunse in piazza del Duomo. Don Giovanni, circondato dai Senatori e dagli altri ministri, precedendo la cavalcata, inforcava un nobil e generoso cavallo riccamente guarnito d’argento lavorato al martello, di costo di milledugento scudi, a lui donato in nome della città.
In quella vasta piazza, detta allora di Santa Maria, la cavalcata fece sosta fra le entusiastiche acclamazioni popolari, indi procedè per la via degli Amalfitani15, e passando sotto altro arco di trionfo, si sciolse innanzi al Palazzo Reale; qui, don Giovanni, licenziatosi da ogni altro, chiamò a sé Marcantonio Colonna, per intendersi sulle deliberazioni e sul governo dell’armata, assicurandolo che, secondo i capitoli della Lega, non avrebbe preso alcuna decisione se non fosse stata prima approvata da lui e dal Veniero. Era già sera, quando il rimbombo delle artiglierie di Gonzaga e di Castellaccio, annunziava l’ingresso del figlio di Carlo V nell’antica reggia degli Svevi e degli Aragonesi ornata et acconciata per suo alloggiamento18 a pubbliche spese.
Di giorno in giorno le forze della Lega si accrescevano: ora entravano nel porto della nostra Messina le navi venete cariche di munizioni, ora le galere del re di Spagna, che dalle vicine Calabrie recavano le fanterie assoldate da Prospero Colonna e da don Gaspare Toraldo, Barone di Badolato sull’Ionio cavaliere assai chiaro a quei dì per ingegno e per militare bravura, il quale “nel breve spatio di quindici giorni raccolse duemila bellicosi fanti calabresi”.
Negli ultimi giorni di agosto giungevan la squadra di Giovanni Andrea Doria, da Genova, quella del marchese di Santacroce, da Napoli, quella di don Giovanni di Cardona, da Palermo, e per ultima, a primo settembre, proveniente da Siracusa, il resto della flotta veneziana rimasto a Candia coi provveditori Canale e Quirino.
Non avea il porto zancleo offerto spettacolo più imponente come quello delle prime settimane del settembre 1571. Mai s’eran viste raccolte dentro il suo vasto seno più fitta selva di antenne e calca, di navigli, tra i quali spiccava maestosa e superba la Galera Reale di don Giovanni d’Austria, a sessanta remi ricca di dorature, tan en boga por aquellos tiempus, di scolture e d’intagli, dovuti allo scarpello di Giovan Battista Vasquez, di Siviglia30.
Quasi 80,000 uomini tra soldati, marinari e remieri montavano quella flotta di 208 galere ordinarie, 6 galeoni, 30 navi, tra fuste e brigantini, oltre a diverse gale atte di proprietà di nobili venturieri.
In questi giorni, Messina porgeva di sè spettacolo grande ed inusitato, pel brio e per la gaiezza che vi regnava, per la straordinaria presenza di tanti forestieri, per tante vele che popolavano il vasto suo porto; eppure “mai si vide in essa mancamento delle cose necessarie al vitto, né di alloggiamenti per le case, né delitie per tanti Prencipi”. Anzi, nota il contemporaneo Giuseppe Bonfiglio40, con una certa compiacenza di affettuosa vanità patria, “viddesi più che mai Messina abondevole di vettovaglia à satietà per cotanta gente, et quello che fù più meraviglia, per niun tempo fù mai veruno intervallo di mancanza, et ogni cosa valse sempre à vilissimo prezzo”.
UNA CURIOSITÀ - Una notizia sulla moda del vestire
È curioso ad osservarsi, scrive il nostro Giuseppe La Farina[2], che 1’uso dei calzoni fu introdotto in Messina da don Giovanni d’Austria. «Ma fatta la Lèga contra il Turco, così dice il Bonfiglio, don Giovanni d’Austria, supremo Generale di quella, recò i calzoni, et quegli conosciuti per habito assai commodo et buono da véstito soldatesco, et prima usato da marinari, fu abbracciato da tutti indifferentemente, et di quando in quando variato hor alla Spagnuola, hora alla Francese, hora alla Sivigliana, et finalmente alla Vallona, nel qual uso non si riposando, si và il taglio sempre variando, et con quello il rimanente del vestito et delle cappe».
-------------------------------------------------------------
[1] I baluardi che difendevano la città, dopo il 1537, erano: S. Giorgio al Molovecchio, S. Giacomo, poi di Portareale sulla piazza Vittoria, S. Vincenzo, S. Francesco, poi dell’Andria, Roccaguelfonia, Torre vittoria, il Segreto, poi dello Spirito Santo, S. Bartolomeo, Mezzo Mondello, Don Blasco e la Lanterna.
[2] Messina ed i suoi monumenti, Messina, 1840, p. 165.